Website amatoriale della Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Sassari - sede di Alghero
Corso di laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica ed Ambientale
Bd4p PROGETTO E RIUSO

Materia d’esame: Storia dell’Architettura 2
Docente: Prof. Alessandro Fonti
Studente: Francesca D’Ambruoso

Mario Manieri-Elia, Per una città “imperiale”.Daniel H. Burnham e il movimento City Beautiful
In G. Ciucci, F. Dal Co, M. Manieri-Elia, M. Tafuri, La città americana dalla guerra civile al New Deal, Laterza, Roma-Bari 1973

Testo di riferimento sulla storia urbanistica americana.
Gli autori sono i 4 storici più eminenti.
G. Ciucci, direttore della Accademia Nazionale di San Luca di Roma, M. Manieri-Elia, titolare della cattedra di Storia dell’Architettura di Roma 3, M. Tafuri Padre della attuale storia dell’Architettura, F. Dal Co Direttore di Electa e Casabella.


0. Introduzione. La città del “lassez faire”

Siamo tra il 1885 e il 1900 circa. La città americana è caratterizzata da vicende economiche e sociali riassumibili nella conquista continua di terre verso l’ovest e il continuo ingresso di manodopera dall’est. “La forma americana della città del lassez faire può essere assimilata al modello strutturale della città borghese europea: concentrazione mercantile e produttiva al centro, e un ampio ed elastico serbatoio di forza lavoro alla periferia” (p.3). Ci sono molte differenze una delle quali è dovuta alla “generalizzazione del quadrillage” che “funziona come neutro supporto per il libero sfruttamento del plusvalore fondiario” (p.3); l’altra dovuta alla presenza dei bosses dell’edilizia che determinano la gestione urbana. Le divisioni di classe tengono separati gli Yankee dagli emigranti e all’interno delle città due figure emergenti sono il boss e il riformatore. Il boss organizza la massa degli immigrati e la inserisce nella città, in cambio “chiede un lealismo personale che si materializza nel voto” … “Naturalmente lavora nel sottogoverno e la corruzione fa parte integrante dei suoi metodi” (p.5). Contrapposti ad essi “I riformatori sono, di fronte al boss, l’ala progressiva autoctona dello schieramento di coloro che operano sulla città. Il loro ruolo consiste nella difesa delle istituzioni democratiche, nel mantenere desto il consenso, l’interesse civico, i sani costumi” (p.6). All’interno della città abbiamo quindi da un lato gli slums in cui abitano gli operai immigrati ma dall’altra parte “nel reticolo c’è già un principio d’ordine, di razionalità e di misura, un’elementare intenzione pianificatrice la cui paternità è fuori dall’ambito del boss; e risale al pensiero efficientistico riformatore” (p.7). “La committenza dell’architetto …per il periodo del lassez faire” è costituita da ”figure di boss «ravveduto» o di riformatore affarista; o sono i grandi finanzieri ed industriali, per i quali l’impresa edilizia è solo l’occasione marginale di dar lustro alla ditta e, con essa, alla città. E’ una committenza, comunque, che vuole «cultura» , e che la cerca dove si trova, cioè in genere dalla parte degli intellettuali «progressisti»(p.7) “A Chicago …città tipicamente americana …, l’architettura urbana si sviluppa agganciata al pensiero riformatore, illuminato ed autoctono … corrispondente all’autonomia del ciclo produttivo” (p.7). I primi grattacieli “puntano, fatti i conti con l’efficienza, alla creatività nell’originalità”. “Il carattere urbano di questa architettura è condizionato [però] dalla rigida regola bidimensionale della banale griglia di strade”(p.8). Se lo spessore dei bosses si poteva misurare nella capacità di investimento per cui più alti erano i grattacieli più si poteva pensare ad una maggiore qualità del lavoro, Mario Manieri-Elia fa un excursus tra il rapporto che intercorre nelle varie città, da Chicago a New York, da Philadelphia a Washington tra potere politico e potere imprenditoriale, tra amministrazione e boss. In questo saggio Mario Manieri-Elia farà una analisi dello sviluppo del disegno urbano in varie città a partire dalla White City e dalla Ciy Beutiful concentrandosi molto sul lavoro di Daniel H. Burnham.


1. Chicago anni ’90 e l’idea della Fiera del 1893

“La Fiera Mondiale Colombiana del 1893 è un chiaro segno del crinale tra due epoche storiche” (p.10). Ci sono varie ipotesi su quando nasce l’idea della Fiera e sulle condizioni economiche e sociali che determineranno il ruolo centrale della città di Chicago.”Dalla fine della guerra di secessione, il ciclo economico americano fa perno su Chicago, trovando in questa città la sede del massimo sforzo produttivo e del più alto potenziale di lotta operaia” (p.11). “Nonostante la forza raggiunta dalle organizzazioni operaie, il capitale è ormai forte: il fortunato ciclo economico del periodo della frontiera lo ha moltiplicato, ed il nuovo equilibrio produttivo est-ovest, rilanciando la concorrenza tra gli Stati a più alti livelli, ne consolida lo sviluppo.” (p.11). Cambiamenti repentini porteranno a sostituire il vecchio lassez faire. “Prima del passaggio che avviene definitivamente con l’elezione di McKinley, nel 1896, e l’inizio della politica estera imperialista della «porta aperta», il paese dovrà superare la grave crisi di assestamento del 1893-94. Attualmente “Chicago è la città del miracolo del sistema americano nel suo periodo di economia autonoma. Con il suo portentoso sviluppo, è la prova della bontà del sistema capitalistico stesso.” (p.12). “In realtà la fine dell’autonomia del sistema e la politica della «porta aperta» rilanceranno New York e S.Francisco, piuttosto che Chicago, per la più favorevole posizione rispetto ai nuovi mercati d’oltre oceano” (p.12)
Il prodigioso sviluppo di Chicago viene visto dai contemporanei come qualcosa di eccezionale che non ha paragoni con nessuna città americana. “La fiera è dunque Chicago stessa” (p.13) ma la Fiera deve dare anche prospettive di sviluppo differenti dal passato ed una maggior apertura verso altre culture.
Gli architetti sono differenti tra loro, se quelli dell’est hanno ancora qualche legame culturale con l’Europa, quelli dell’ovest avevano già staccato il cordone ombelicale con la madrepatria e vivevano una autonomia culturale ed una originalità maggiore. Ma se Richardson, Sullivan e Wright eccelleranno per le loro qualità architettoniche, saranno “i Jenney e i Burnham ad esprimere più pienamente … il ruolo del progettista americano: e ciò li porterà ad incidere di più … sulla realtà urbana” (p.13). A Burnham vengono attribuiti decine di progetti di grattacieli assieme a Root e ad altri collaboratori, difficile è capire la sua influenza in queste opere architettoniche dato che lui lavorava più a scala urbana. Ma il Monadnock con i suoi mattoni e bow windows viene citato come un precursore dello “straordinario Flatiron di New York” (p.18) “In tali edifici … vi è una medesima impostazione nel carattere «urbano», nel pregnante rapporto dell’edificio col vano strada; rapporto per il quale il grattacielo non si pone già come oggetto architettonico chiuso, composto secondo una gerarchia di parti riferite allo schema templare, organico in senso antropomorfico…. Rifiutato il carattere centripeto del grattacielo- monumento, il Monadnock restituisce alla strada il ruolo di elemento urbano fondamentale e si pone come parte della struttura organizzativa della City. Vi è un vero e proprio salto di scala: l’intento di prevalere sull’indifferenza del reticolo e sulla banalità del lotto, attraverso l’enfasi espressiva dell’opera unitaria e irripetibile, viene qui ribaltato, nel tentativo di avanzare l’indicazione di una diversa struttura urbana“ (p.18).
Qui comincia il racconto della biografia di Burnham che arriva a metter su uno studio di Architettura a Chicago con Root solo dopo tante vicissitudini e cambiamenti di vita.
Ma a trent’anni pare già maturo per ottenere commesse di alto prestigio e di notevole importanza. Pare che il periodo di maggior maturità di Burnham cominci proprio con la morte del suo architetto collaboratore Root. Burnham non era fatto solo per disegnare case, lui avrebbe voluto gestire grandi affari.
La fiera di Chicago viene, non a caso, affidata proprio a Burnham. Aveva concezioni differnti dalla autocultura americana che caratterizzava Root o Sullivan o altri grandi architetti contemporanei. La fiera di Chicago non doveva e poteva eseere provinciale. “La fiera si fa per dimostrare al mondo l’esistenza poderosa del capitale americano e la qualità del suo prodotto; per stabilire nuovi rapporti finanziari e commerciali con i paesi più lontani; per dimostrare efficienza e capacità produttiva, progresso e smentire la fama di provincialismo.” (p.20). Ed essa deve essere grande più della precedente europea del 1889.
“Nel settembre del ’90, Burnham per la parte edilizia e Olmsted pr il landscape, hanno in mano l’iniziativa: il primo inserisce Root come consultino architect;” (p.22).
Ci sono varie proposte stilistiche provenienti da ogni dove, Burnham stringe accordi con l’AIA, l’American Institut of Architects. Le fiere europee vedevano la centralità della tecnologia ma nelle città americane, dove la tecnologia era già presente “le fiere divengono occasione di tentativi volti a pareggiare il gap culturale dovuto all’assenza di centri storici” (p.24). “E’ la commissione nazionale che ha il potere: 1) di scegliere il luogo, 2) di progettare gli edifici, 3) di definire il piano e lo scopo dell’Esposizione.” (p 24) .
Architetti incaricati della progettazione degli edifici saranno nomi di chiara fama nazionale e molti saranno provenienti dall’est grazie anche alla scelta stilistica del «classicismo» che segnerà la fiera. Un classicismo eclettico che avrà la scelta del colore bianco come colore unificante. “«Classicismo», contrapposto al neo-medievale del lassez faire, significa stabilità, fine dell’insicurezza del periodo eroico, fiducia nelle conquiste istituzionali; e significa anche assonanza con la cultura europea, senza più complessi di inferiorità e di rivalsa, capacità di cimentarsi sullo stesso terreno qualitativo, con la fondata fiducia di poter ormai prevalere su quello quantitativo. «Classicismo», infine, è costanza dei tipi: quindi economia di progettazione ed efficienza produttiva. Fine delle pretese individualiste degli architetti superuomini e richiamo alla disciplina del lavoro coordinato, quale il controllo della scala urbana richiede. Charles Zueblin giungerà a dire: «La White City è stato un successo socialista, il risultato di molte menti ispirate da un comune impegno, al lavoro per il bene comune». (p. 26)
La fiera aveva come obiettivo quello di impressionare per quantità e qualità “in una fiera che dura pochi mesi, il massimo risultato si otterrà tagliando sulla durevolezza delle opere, fino al limite di realizzare quanti più edifici e quanto più monumentali possibile al minimo costo; quindi di stucco su armatura di stecche di legno” (p.26)


2. Le meraviglie della Fiera

La fiera si fa nell’area del Jackson Park, un grande trapezio di 255 ettari inedificato e varie altre aree adiacenti: parchi, lago e zone da edificare sia pure con edifici provvisori.
Codman e Root stendono il disegno che sarà accettato dalla National Commission. Root morirà nel 1891 e Codman nel gennaio 1893.
Comincia la descrizione del piano con la divisione per aree contrapposte volutamente, da una parte, nel Jackson Park, ci saranno le meraviglie e la magnificenza delle proposte Usa e nelle restanti parti le testimonianze del resto del mondo che niente hanno a che fare con le proposte statunitensi. Il piano è descritto dettagliatamente e rappresentato con immagini fotografiche e disegni di piante originali. Dalla corte d’onore alla descrizione degli edifici di rappresentanza, alla laguna che cita Venezia, alla alberatura, ai giochi di edifici e acqua.
Alla morte di Root Burnham cerca un nuovo collaboratore eli propongono Atwood, di formazione americana, progettista di più di 60 edifici alla fiera e autore del famoso Reliance.
Il Manufacture Building di Post per le sue dimensioni e le sue proporzioni rimane l’emblema della fiera, cos’ come l’Administration Building.
L’effetto sui visitatori fu qualcosa di sconvolgente per l’accessiva maestosità: i visitatori si sentivano schiacciati da tanto sfarzo e da tanti elementi architettonici. I canali della laguna spesso non facevano che schiacciare i visitatori sotto gli enormi edifici. I critici d’arte ed architettura più temuti erano ovviamente i disincantati europei che non facevano che collegare ad ogni edificio proporzioni di edifici europei.
La fiera fu anche la fiera del kitch: pennoni, stendardi, luci, gli scenografi e gli artigiani avevano lavorato abbondantemente.
Ovviamente assieme alle volute magnificenze americane c’erano le particolarità internazionali: il rikshaw cinese, i gondolieri italiani, che però rappresentavano gli orrori del vecchio mondo in confronto alla Ferris Wheel (la ruota panoramica) che sollevava migliaia di persone e mostrava loro l’intero panorama della città di Chicago.
Oltre a queste grandi opere furono esposte ovviamente le più recenti innovazioni tecnologiche in campo di elettrodomestici, comunicazione, trasporti.


3. Bilancio sentimentale e bilancio critico della Fiera

“Centinaia di migliaia di visitatori sottoposti a shock estetico e culturale” (p.42)
Tutti gli interventi favorevoli mettono in evidenza “l’indicazione ottimista di una insperata possibilità di coordinarsi e, attraverso l’ordine, migliorarsi” (p.44). La White City di fatto voleva un mondo pacificato e razionale. “Noi avremmo potuto avere maggiori guadagni, se avessimo voluto incamerare individualmente il surplus della produzione – afferma il dott. Leete – ma abbiamo preferito spenderlo in lavori pubblici e attrezzature per lo svago, sale e palazzi pubblici, gallerie d’arte, ponti, statuaria, mezzi di trasporto, rappresentazioni teatrali e musicali, e nel provvedere su vasta scala alla ricreazione della gente” (p.45). Lo stesso Olmsted dirà “Confrontando questa esperienza con alcune mie precedenti, posso pensare che essa manifesta un progresso nella civiltà” (p.45).
Tra le voci contrarie troviamo Sullivan invece che arriverà a dire “Così l’architettura morì nel paese della libertà e del coraggio. Così compì la sua opera di disintegrazione il virus di una cultura snobistica e straniera, e così lavora sempre la pallida mente accademica” (p.45). Dice anche che ciò che la gente vide “non era affatto ciò che credevano di aver veduto, ma una imposizione del falso alla loro capacità visiva, un mero esibizionismo di ciarlataneria della superiore e dominante cultura feudale, abbinata all’arte di vendere propria della decadenza”. “Il danno causato dalla Fiera Mondiale durerà per mezzo secolo” (p.45).
Bourget dirà che “Non è un sogno emersoniano di assoluta originalità, ma è la prova che la dimensione colossale ha bisogno di grazia e simmetria” (p.48) e Henry Adams “La prima espressione del pensiero americano come unità” (p.48) E Schuyler “La White City è il più integrale, il più esteso, il più illusivo pezzo di architettura scenica che sia mai stato visto è la capitale del No Man’s Land” (p. 49) ed è lui che presagirà la City Beautiful idea domandandosi se quei visitatori non auspicheranno per ogni città un manufacture Building ed un Admnistration Building con parchi e viali intorno.
Ma Mario Manieri-Elia pensa che “Rimane, quale valenza positiva della Fiera, nel quadro di un atteggiamento populista storicamente necessario, il coordinamento raggiunto, l’unità, l’ordine, punto di partenza di una prassi di disegno urbano che , tra mille difficoltà, si avvia ai prii passi. Ma di fronte a questo aspetto positivo, sul quale, come si è detto, concordano molti dei detrattori, esiste l’altro aspetto , tutto ideologico, patetico ed ambiguo, del tentativo intellettuale volto al recupero degli «eterni valori» (p.51).
Burnham nel frattempo vuole investire su Wright e su altri, vuole che si formino alle Beaux Artes di Parigi, se avesse potuto sarebbe andato lui direttamente ma era ormai cinquantenne e a lui interessava il town planning, così nel 1896 parte per vedere altre città. In Egitto le piramidi lo faranno riflettere sul rapporto dell’oggetto architettonico col suo ambiente e l’Acropoli di Atene “gli insegna molto sul modo di concepire l’architettura d’insieme in rapporto ai rilievi naturali e agli assi visuali reciproci” (p.56)
Al rientro proporrà il rifacimento del fronte-lago come prosecuzione dell’area espositiva della Fiera Colombiana: rimuoverà la ferrovia, collegherà il fronte-lago con la viabilità interna e sotto l’influenza delle città mediterranee proporrà terrazzamenti con anchine e pseudo ruderi e opere d’arte.
Sarà questo uno dei più semplici interventi di town planning di Mr. Burnham.


4. Il movimento City Beautiful. Washington

Nel 1896 le elezioni presidenziali premiano il repubblicano McKinley che terrà la staffetta con Roosvelt e Taft sino all’inizio della guerra mondiale. “La Fiera si oppone, come indicazione ideologica globale, alla direzione inflazionista e autonomista delle lotte sindacali ed indurrà nella prassi edilizia orientamenti e sistemi favorevoli all’occupazione di forza lavoro non specialistica, con il movimento City Beautiful; purtuttavia nel suo farsi, la delicata realizzazione dei suoi padiglioni richiede un larghissimo impegno di mano d’opera specializzata.” (p.61) Gli effetti benefici della Fiera attutiscono gli effetti della crisi ma gli scioperi di Pullman colpirà la città. “La tregua sindacale, che fa seguito in tutta l’America all’azione militare ordinata dal presidente Cleveland, corrisponde ad un periodo di depressione spaventosa nel quale acquista inevitabile credito, anche soprattutto di fronte all’estremo disagio delle masse degli immigrati, la proposta repubblicana, deflazionistica e stabilizzatrice” (p. 61)
Burnham entrerà perfettamente in questa corrente di pensiero insieme a molti altri e si avvieranno concorsi per la progettazione di edifici pubblici in linea con la City Beautiful.
“Se per tutto l’800 il landscaper rimane fuori della città, è proprio con Frederick Olmsted, già nel Central Park e soprattutto nei progetti successivi, che si hanno decisi tentativi di conferire al verde urbano una organizzazione tale da funzionare come sistema, all’interno della diversa, confusa e in conoscibile struttura della metropoli in sviluppo. L’importanza della Fiera Colombiana consiste indubbiamente anche nel suo porsi come momento di sintesi tra la figura dell’architetto, impegnato e compromesso (senza reali possibilità di controllo della scala urbana) entro il magma dei tessuti edilizi, e il landscaper, missionario incorrotto della natura disegnata, entro la giungla cittadina.
Dall’incontro di queste due figure, nasce il piè grosso tentativo di controllo spaziale dei centri urbani; tentativo che ha il suo varo trionfale nel piano di Washington e come protagonisti uomini come Burnham e McKim.” (p.62)
Da qui comincia una dissertazione sulla vera origine della teoria della City Beautiful se non sia la White City o ciò che deriva dal pensiero progressivo che mira a migliori standards cercando la committenza nella cittadinanza nei confronti della quale muove una campagna di civismo. E sorge una distinzione tra City Beautiful burnhamiana e Park Movement olmestiana. Siccome però, nonostante le teorie del grande landscaper, le applicazioni si ridussero nella creazione di non altro che sistema di parchi possiamo far discendere a tutti gli effetti la City Beautiful nel senso di town planning.
In questo testo facciamo derivare la City Beautiful direttamente dalla White City e Zueblin ci dirà che “Il City Planning scientifico comincia con la White City. Tutte le funzioni erano coordinate in uno schema integrale. Pavimentazione e pulizia strade, rifornimento d’acqua e fognature, rimozione dei rifiuti, fuoco, polizia, igiene, tutto risolto secondo il dettato della scienza, non dei bosses” (p.65)
Olmsted Jr. raccoglierà così i dettami del movimento City Beautiful nel 1910 :

  • “1°, dimensione e forma delle strade;
  • 2°, dimensione, carattere degli edifici e localizzazione d ess in rapporto reciproco con gli spazi pubblici;
  • 3°, dislocazione delle zone inedificate;
  • 4°, trattamento di tali zone inedificate , eventuale presenza di strade, carattere e distribuzione degli oggetti emergenti su di esse,come alberi, pali telegrafici, recinzioni eccetera. “ (p.65)
    “Vista così City beautiful non coincide con il planning , ma con una particolare metodologia di esso; e l’indicazione della sua origine nella White City ha senso nella misura in cui quella esperienza viene assunta come opera di Town design organizzata, coordinata e disegnata, piuttosto che nel suo significato linguistico classicista.” (p.65)
    E la vera City Beautiful per Burnham è Parigi, e negli Stati Uniti, l’unica può essere considerata solo Washington.
    Washington sarà la grande occasione di realizzare la Città Bella, espressione di stabilizzazione economica successiva alla salita dei repubblicani al potere.
    Nel 1900 si vuole celebrare il centenario della nascita della città si riavvia il piano giunto a buon punto da Shepherd sul settecentesco piano di L’Enfant. In essi c’erano elementi simbolici ma un po’ sconnessi tra di loro essenzialmente 3 Capitol, Casa Bianca e monumento a Washington (1848-1884) tra l’altro neanche ben in asse sulla grande L attraversata tra l’altro dalla Alexandria e Washington Railroad.
    Chi tenta di salvare almeno l’asse del Mall da edifici arbitrari fu Franklin W. Smith che contemporaneamente alla Fiera Colombiana progetta una galleria di Storia ed Arte nell’area che va dalla Casa Bianca al Potomac.
    Proposte sensibili all'arretramento della stazione ferroviaria come uell di Bingham affiancano proposte di ponti ma è con Glenn Brown, segretario dell'AIA che nel 1900 si richiedono proposte di piano che abbiano come tema Washington.
    Tra i vari piani lo stesso Brown ne proporrà uno che per Manieri-Elia "può considerarsi il primo soddisfacente tentativo di disegno urbano organico" (p. 71).Nella notà a piè di pagina lui scrive che "Il Piano di Brown può considerarsi la matrice a cui si rifarà la Senate Park Commission; è basato sulla grande croce costituita dai due assi partenti dal Campidoglio e dalla Casa Bianca ed incrociati sull'obelisco; prevede la simmetria delle due radiali che partono dal Campidoglio verso la Casa Bianca e verso il Jefferson Memorial, e la creazione di una Plaza presso l'obelisco. La stazione del Mall è interrata." (p.71)


    5. Le due facce della progettazione urbana: Cleveland e il Flatiron
    6. City Beautiful nella fase imperialista
    7. Il piano di Chicago
    8. Dalla City Beautiful al “city planning”
    9. Il piano di Canberra
  • Descrizione della "città imperiale" Washington

    << indietro