Website amatoriale della Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Sassari - sede di Alghero
Corso di laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica ed Ambientale

Articoli sul Piano paesaggistico della Regione Sardegna


Edoardo Salzano
20.01.2007
da http://eddyburg.it

Una sintesi della politica per il paesaggio di Soru, dal fascicolo “Sardegna: i paesaggi del futuro”, allegato al n. 899 della rivista Domus, gennaio 2007

La Sardegna ha seguito il percorso virtuoso suggerito dalla vicenda della Legge Galasso. Prima un vincolo indiscriminato e geometrico su tutta la costa, per 2.000 metri, bloccando così circa 70 milioni di metri cubi di lottizzazioni turistiche previste nei piani comunali. Poi, in tempi strettissimi, discussione e approvazione di un piano paesaggistico regionale su 27 ambiti di paesaggio che comprendono nel loro insieme il 15% del territorio regionale. Fra un paio di mesi si aprirà la discussione sul completamento del piano, e otterrà una disciplina ispirata alla tutela del paesaggio tutto il territorio della Sardegna.

Dal vincolo temporaneo e di salvaguardia indiscriminata, al piano: anzi, alla pianificazione. Una pianificazione che tutela le qualità del territorio individuando con la massima precisione possibile a quella scala tutti i beni meritevoli d’essere protetti, definendo per ciascuna delle categorie in cui sono “tipizzati” le regole che le trasformazioni e gli usi devono rispettare. Una pianificazione che analizza le relazioni e connessioni tra i beni (le dune e le falesie, le foreste e i corsi d’acqua, i lasciti della storia e le forme che la geomorfologia ha disegnato, le specificità della geografia vegetale e le dinamiche dell’ecologia) e di questi con gli interventi, creativi o distruttivi, che l’uomo ha operato nel corso dei secoli. Una pianificazione che distingue le prescrizioni immediate, ossia le regole che l’esigenza di tutelare fin da subito beni d’interesse generale impone alla Regione, e gli indirizzi e le direttive che le comunità locali, con la pianificazione urbanistica, dovranno sviluppare nei diversi “ambiti di paesaggio” dove le differenti fisionomie del paesaggio diventano la testimonianza e l’espressione delle diverse identità dei territori e dei popoli.

Quali sono le premesse da cui si è partiti? Le aveva riassunte, con l’efficacia delle parole semplici e immediate, il presidente della Regione (ha sempre rifiutato di essere chiamato “governatore”) Renato Soru, nell’insediare, nel maggio 2005, il Comitato scientifico che ha affiancato l’Ufficio regionale che ha elaborato il piano.

Con il piano, ha detto Soru, “innanzitutto vorremmo difendere la natura, il territorio e le sue risorse, la Sardegna. Vorremmo partire dalle coste, perché sono le più a rischio. Vorremmo che le coste della Sardegna esistessero ancora fra 100 anni. Vorremmo che ci fossero pezzi del territorio vergine che ci sopravvivano”. Conservare quello che è bello e ha valore, per il valore intrinseco che ha, e non per quello meramente economico che i proprietari potrebbero ottenerne trasformandolo in merce, degradandolo e rendendolo irriconoscibile: “quella valorizzazione non ci interessa”.

Valore per tutta l’umanità, e valore perché esprime l’identità del popolo sardo: “Vorremmo che tutto quello che è proprio della nostra Isola, tutto quello che costituisce la sua identità sia conservato. Non siamo interessati a standard europei. Siamo interessati invece alla conservazione di tutti i segni, anche quelli deboli, che testimoniano la nostra storia e la nostra natura: i muretti a secco, i terrazzamenti, gli alberi, i percorsi - tutto quello che rappresenta il nostro paesaggio. Così come siamo interessati a esaltare la flora e la fauna della nostra Isola”.

Soru arriva al governo e alla politica partendo dall’economia e dall’impresa: la dimensione economica non gli sfugge; ma a lui e alla sua maggioranza non sfugge neppure la dimensione economica della ricchezza paesaggistica dell’Isola. Anzi. Se “non siamo interessati al turismo come elemento del mercato mondiale”, siamo interessati invece “a un turismo che sappia utilizzare un paesaggio di questo tipo”. Un paesaggio che vogliamo difendere per due ragioni: sia perché pensiamo che sia necessario in se, “ma anche perchè pensiamo che sia giusto dal punto di vista economico”. La Sardegna, giustamente e con un’ottica capace di guardare al futuro, non vuole competere “con quel turismo che è uguale in ogni parte del mondo (in Indonesia come nelle Maldive, nei Carabi come nelle Isole del Pacifico), ma vede la sua particolare specifica natura come una risorsa unica al mondo perché diversa da tutte la altre”.

Il piano paesaggistico è un programma d’azione di lunga durata, che si proietta nel futuro. Lo indicano con chiarezza la critica delle tendenze degli ultimi decenni, e le proposte alternative. Nel passato, “abbiamo costruito nuovi villaggi e abbiamo svuotato i paesi che c’erano; abbiamo costruito villaggi fantasmi, e abbiamo resi fantasmi i villaggi vivi”. Nel futuro, innanzitutto “non tocchiamo nulla di ciò che è venuto bene”, poi “ripuliamo e correggiamo quello che non va bene”. Liberate dalla lottizzazioni degradanti l’ampia fascia costiera, determinata con criteri scientifici e non più meramente geometrici, proponiamoci di far rinascere i paesi e le aree dell’interno.

Spazi interessanti possono aprirsi così alle attività legate al territorio e alla sua trasformazione: dalla manutenzione del paesaggio dove merita di essere conservato, alla sua trasformazione dov’è degradato. Invece dei “villaggi fantasmi”, avviare con i piani comunali una vasta azione per riabilitare e risanare e completare i vecchi paesi all’interno e dietro la fascia costiera. Impiegare le risorse del territorio con saggezza e lungimiranza può produrre un ciclo virtuoso dell’economia, alternativo al ciclo “usa e getta”.


Una intervista a Edoardo Salzano sulla cessione di parti dei complessi minerari e sul Piano paesaggistico della Sardegna. Da la Nuova Sardegna del 2 luglio 2006

di Lissia, Mauro del 02.07.2006

VENEZIA. - Professor Salzano, la Regione ha messo all’asta il compendio minerario del Sulcis, vuole farne un paradiso delle vacanze con campi da golf. Il bando scade domani. Condivide la scelta?

«Quando un ente pubblico decide di alienare i suoi beni io sono sempre contrario. Una cosa sono le regole delle trasformazioni fisiche, un’altra sono le funzioni che si stabiliscono attraverso i piani, un’altra ancora è il regime proprietario. Come regola generale io sono anti-tremontiano, la proprietà è una garanzia in ogni caso. Ho apprezzato l’iniziativa di Renato Soru di avviare la conservatoria delle coste ma in questo caso sono contrario. Bisogna però vedere che cosa si fa col ricavato della vendita...».
- La base d’asta è 44 milioni per 647 ettari di terre pregiatissime. Chi compra fa un affare...
«Sì, in termini generali io sarei per una concessione onerosa. Dà garanzie maggiori al pubblico».
- Lei ha coordinato l’elaborazione del piano paesaggistico della Sardegna, cui hanno lavorato intellettuali di diversa provenienza e inclinazione. A leggerne la filosofia sembra che l’orientamento sull’uso degli spazi storici fosse diverso. Nel testo sono numerosi i richiami alla salvaguardia dell’identità dei luoghi e alla conservazione filologica dei manufatti. Ma nel bando è prevista anche la demolizione.
«L’orientamento era di escludere le seconde case, per ora sulla fascia costiera. Qui le garanzie le abbiamo messe e sono chiare».
- Però nel piano si parla in termini aspramente critici di corsa alla privatizzazione. Gli oppositori dicono che la scelta di vendere il Sulcis minerario va in controtendenza rispetto allo spirito dello strumento di pianificazione.
«Nel nostro lavoro siamo partiti con un fantasma davanti agli occhi, quello dei villaggi turistici, queste oscenità... Un gruppo milanese o belga va in Sardegna, compra la terra dell’allevatore e ci costruisce uno di quegli obbrobri che conosciamo. Invece la trasformazione di certi edifici pubblici, che io comunque tenderei a evitare, non mi scandalizza. Se l’ipotesi è realizzare alberghi e gli alberghi sono necessari, se li fanno i privati e la Regione ha bisogno di vendere per raccogliere quattrini utili a comprare aree a rischio sulla costa e finanziare la conservatoria...».
- Sta dicendo che il fine giustifica i mezzi?
«No, ripeto: il pubblico è meglio che conservi il proprio patrimonio immobiliare».
- In questo caso anche un patrimonio affettivo, forse per questo la protesta sta montando...
«Va ricordato che il piano è solo un atto amministrativo, non può imporre un atteggiamento ascetico».
- La relazione scientifica allegata al piano sembra qualcosa di più che un semplice atto amministrativo.
«Certo, ci hanno lavorato anche scrittori... Mi spiego meglio: io sono nettamente contrario alla privatizzazione generalizzata. Ma se dietro alla dismissione c’è un ragionamento, una finalizzazione, allora se ne può discutere, purchè le finalizzazioni ci siano e siano conformi al piano. Lo slogan di partenza è stato ‘non vogliamo cancellare il turismo, vogliamo modificarlo’ per godere in modo controllato di questo patrimonio di bellezza incentivando le attività ricettive».
- Ma lei è convinto che il turismo possa essere davvero una risorsa economica per la Sardegna del futuro?
«Solo se la Sardegna riesce a conservare la qualità dei suoi siti».
- Nel piano la parola valorizzazione, riferita ai luoghi, viene definita parola fantasma, rottame di parola.
«I grandi economisti del passato, da Adamo Smith a Carlo Marx, distinguevano due valori: il valore d’uso e il valore di scambio. Il valore usato per le sue caratteristiche proprie e quello che ha in quanto merce. L’aria non è un valore di scambio, come l’acqua pulita. Allora: quando noi parliamo di valorizzare un bene possiamo parlarne nel senso di rendere quel bene una merce e far sì che il proprietario ne ottenga un lucro. Oppure che mettiamo in evidenza, conserviamo e accresciamo il valore d’uso, l’eccezionalità, la rarità, la qualità propria di quel bene. In genere il termine valorizzazione viene usato nel primo senso, a me quello giusto sembra il secondo».
- Qual è la linea di confine tra uso e abuso del bene ambientale?
«Capire quali sono le trasformazioni ammissibili per quel determinato bene, nel senso che ne conservano e ne mettono in evidenza il valore, e quelle che invece ne diminuiscono la qualità».
- E’ accettabile che a individuare questa linea di confine siano i politici?
«Questa è la democrazia, baby (sorride) ... non ci si può far niente. Per pianificare la Sardegna sono state scelte persone che fra di loro non avevano alcun rapporto, io non conoscevo Soru e lui non conosceva me...».
- Un’anomalia felice?
«Diciamo pure che dopo lunghi tira e molla siamo rimasti tutti soddisfatti di questo piano paesaggistico».
- Malgrado molti amministratori locali dicano che il piano è generico, che è troppo complesso?
«E’ un piano che richiede una collaborazione da parte di chi deve approfondire le cose. Da questo punto di vista è difficile, perchè chiede a Province e Comuni un impegno nell’approfondimento dell’analisi, chiede di definire meglio i confini che noi abbiamo individuato, di farsi carico di una serie di cose di cui l’urbanistica tradizionale non si faceva carico perchè era rivolta alla ricostruzione, mentre qui il piano è finalizzato alla tutela del paesaggio».
- C’è però chi lo legge come un piano di divieti.
«Non c’è dubbio, lo è per l’urbanistica edificatoria. Ci sono due modi di pianificare: il primo è dire ‘sul territorio si può fare tutto’ in base alle convenienze dei privati o della comunità locale. L’altra impostazione è legata alla legge Galasso, che risale al 1985 e dice: il territorio è quello che è, verifichiamo in primo luogo che cosa si può trasformare e secondo quali regole. Quando abbiamo individuato le aree in cui le trasformazioni possono anche essere pesanti, allora decidiamo che cosa si può fare in queste aree. Ma partiamo dal territorio, non dal cemento. La domanda è: questa impostazione a quali classi economiche, ceti sociali, interessi economici serve e quali contrasta?».
- Risposta scontata...
«Purtroppo gli oppositori più accaniti di questa impostazione sono i più dotati di mezzi di comunicazione, questo è il problema...».
- E’ un piano ambientalista?
«E’ un piano che piace agli ambientalisti, che consente di realizzare qualità nuove in coerenza con quelle attuali».
- Non toccare il territorio intatto, un passaggio del piano che colpisce per l’idea di rigore che contiene.
«E’ un pallino di Soru. Ci ha detto: per favore, quello che non è stato toccato si lascia stare, sul resto discutiamo. Io sono d’accordo. Stiamo per presentare a un gruppo di parlamentari dell’Ulivo un disegno di legge in cui diciamo che l’obbiettivo è fare come altri paesi del mondo: il territorio non edificato e urbanizzato viene trasformato solo se si dimostra che le cose che si vogliono fare là non si potevano fare altrove».
- In Sardegna sono proprio i Comuni che hanno il territorio intatto a protestare per i divieti.
«Non capiscono che sono i più fortunati. Ma una carenza nel piano c’è: quando noi diciamo che le costruzioni vanno realizzate nelle aree adiacenti i centri urbani non diciamo che poi bisognerà farsi carico di un sistema di trasporti fra questi centri e la costa. E’ un problema di organizzazione della mobilità, che non significa fare strade ma sistemi di trasporto leggeri. Bisogna lavorarci sopra, ma questo è un compito che spetta alla successiva pianificazione».
- Che cosa direbbe al sindaco di un piccolo paese costiero della Sardegna che protesta: io non ho altro modo per dare lavoro ai miei compaesani, ci sarebbe il turismo ma la Regione...
«Gli direi che vicino al paese può costruire... vediamo quante case vuote ci sono in quel paese. C’è da fare un enorme lavoro di recupero del patrimonio edilizio esistente. Fra l’altro chi costruisce un villaggio turistico ex novo compra i materiali all’esterno e li assembla in Sardegna, finestre, stipiti... e dunque il moltiplicatore economico è bassissimo. Chi invece ristruttura e riorganizza impiega manodopera locale, materiale, artigianato locale... lo dice Soru e ha ragione».
- C’è qualche carenza importante?
«Le norme sono ancora un po’ confuse. Sarebbero stati necessari altri sei mesi di lavoro per realizzare una cosa più semplice dal punto di vista dell’utilizzatore delle norme. Sono d’accordo sul fatto che ci siano diverse categorie di beni da tutelare, che la Regione individua. E norme riferite agli ambiti di paesaggio che rinviano alla pianificazione successiva. Con un ulteriore sforzo si poteva fare qualcosa di più semplice, ma trovo miracoloso come sia stato raccolto il materiale informativo, un grande risultato che oggi viene citato con favore da molti autorevoli urbanisti. Roberto Gambino del Politecnico, membro di molti organismi internazionali, non è soddisfatto di alcune cose ma comparativamente giudica il piano il migliore in Italia. E lui ne ha fatti molti».
- A cosa è ancorata la critica di Gambino?
«Alla distinzione dei livelli di qualità dei siti e io sono d’accordo con lui. Non ha senso dire: questo bene vale più di quest’altro e un po’ meno di quest’altro ancora. Bisogna individuare le caratteristiche proprie di quel bene e poi tutelare quelle. Ma questa distinzione compare nel codice Urbani, anche se per fortuna nell’ultima edizione si è un po’ stemperata».
- Qual è il bene più importante da tutelare nell’isola?
«La consapevolezza che i sardi hanno della qualità del proprio territorio».
- Che cos’è il paesaggio, professore?
«Secondo il modello europeo, secondo me pericoloso, è quello che viene percepito dalla gente. Ma io chiedo: quale gente? Quale? Se noi pensiamo a com’è la gente oggi, il termine gente lo abolirei, ci rendiamo conto che molte situzioni prima di poterti affidare all’intuito e alla comune opinione della gente devi fare un’opera di educazione che è stata interrotta. Allora meglio rivendicare la responsabilità dei poteri centrali, garantita dalla legge».
- E’ cresciuta la sensibilità ambientale negli ultimi anni?
«Solo in porzioni minoritarie della popolazione. L’Italia è ancora il paese in cui la gente spazza l’immondizia fuori sulla strada perchè poi sulla strada ci pensano gli altri».
- Allora questo è un piano impopolare?
«Dipende da come funziona la Sardegna... i sardi che conosco hanno un grande orgoglio del proprio territorio, anche se poi non si traduce sempre in atti reali».
- L’eolico, professore. Giusto frenarne la diffusione?
«C’è stato purtroppo un gap fra le parole d’ordine dell’ambientalismo e l’attuazione pratica. L’ambientalismo ha detto giustamente: energie rinnovabili. Una è l’eolico. Dopo di che è mancato il passaggio del potere pubblico: studiare e verificare quali sono le fonti di energia rinnovabili, quali i vantaggi di ciascuna di queste e sulla base di questo fare un piano energetico nazionale. Quindi i progetti, gli standard per realizzare questo o l’altro, infine largo alle imprese. Qui l’iniziativa è partita dalle imprese, che portano enormi materiali assolutamente invasivi. Provocano enormi devastazioni nel paesaggio e sono impianti che non vanno bene in un terreno accidentato come quello sardo. Dove invece si potrebbe sviluppare il fotovoltaico».
- Nel piano manca una disciplina della luce, dell’uso dell’illuminazione pubblica.
«E’ un problema che non ho mai visto trattato in uno strumento di pianificazione, certo poteva essere un’occasione visto che negli ultimi tempi se ne parla molto in Italia e in Europa. Ma guardi... non è mai stato fatto un piano paesaggistico così imponente in tempi così ridotti. Si è fatto il possibile».
- Qual è il prossimo passo?
«Dovremo lavorare sulla legge Floris, che partiva da un decreto sugli standard, sulle quantità minime di spazi pubblici. Sulle zone interne penso che sarà elaborato un piano a parte. Certo le pressioni e gli interessi sono minori, quindi non c’è urgenza. Forse però prima di trattare i problemi dell’interno sarebbe utile definire la legge urbanistica regionale e fare una pianificazione non solo paesaggistica. La legge Galasso dava due possibilità: fare diversi piani paesaggistici oppure piani ordinari con particolare considerazione ai valori paesistici e ambientali, i piani territoriali di coordinamento. Ecco, forse varrebbe la pena di fare un piano territoriale regionale».


L'Unione Sarda - pagina 7 - 19 ottobre 2006

LA DENUNCIA

Piano paesaggistico, sparite le zone A e B L’errore, o il cambio nel testo, rischia di scatenare uno scontro dai toni altissimi. Sullo sfondo, il Piano paesaggistico regionale: secondo Forza Italia, nel testo pubblicato sul Bollettino della Regione sono sparite - rispetto al testo disponibile sul sito Internet e distribuito ai Comuni - le lettere A e B nell’articolo 12, quello in cui si definisce quali sono le zone dove sono concessi interventi edilizi. Sono sopravvissute, a pagine 20 del Buras, le zone C, D e G. In pillole, se una amministrazione di un Comune costiero in queste settimane ha concesso un’autorizzazione a costruire nel centro storico (zona A) o nella fascia di completamento (zona B), si vedrà costretta a revocarla, con tutti gli strascichi del caso. «VOGLIAMO GLI ATTI». Sarebbe stato il presidente del Consiglio comunale di Olbia, l’azzurro Tonino Pizzadili, a fare per primo la scoperta dell’incongruenza fra Bollettino e testo del Piano paesaggistico distribuito ai Comuni e disponibile anche su Internet. Ieri, Pizzadili ha informato il capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale, Giorgio La Spisa, che non ha perso tempo e ha presentato una richiesta urgente al presidente Giacomo Spissu di poter entrare in possesso degli atti ufficiali della Giunta relativi al Piano: «Nessuno è in grado di fare ipotesi su cosa possa essere accaduto, però la difformità nelle norme è clamorosa », dice La Spisa, «sono curioso di vedere cosa ha approvato la Giunta in quella seduta». LA CURIOSITÀ. Nel testo del Buras dell’8 settembre, disponibile anche attraverso il sito Internet della Regione, a pagina 20 nella prima riga c’è uno spazio anomalo fra la parola “omogenee” e la lettera seguente “C”, intervallo dove “A” e “B” potrebbero aver trovato spazio nella prima stesura del testo, secondo l’ipotesi fatta dall’opposizione. La norma dice: “Sono inedificabili, in quanto sottoposti a vincolo integrale di conservazione... i terreni compresi in un fascia di profondità di 300 metri dalla linea di battigia... con esclusione di quelli nelle zone omogenee C (espansione), D (attività produttive) e G (servizi)...”. ( e. p.)


La sfida della novità di Renato Soru, incontro con Goffredo Fofi

lo Straniero, numero 74/75, agosto, settembre 2006.

Da qualche anno si assiste a un risveglio culturale sardo, a un nuovo rapporto con la tradizione e il territorio. Lontano dal “continente”, vecchio e nuovo sembrano intrecciarsi meglio che altrove. Come giudica questo processo dall’interno della Regione? E che spazio ha o può avere la Regione, in quanto istituzione, in questo risveglio?
È andata maturando una consapevolezza dei pericoli degli effetti della globalizzazione, che se produce molti vantaggi – nella conoscenza, nel miglioramento della qualità della vita, nella crescita della relazioni – porta anche con sé il pericolo dell’omologazione alle culture dominanti, con la possibile scomparsa della bellezza delle differenze. E quindi, come spesso ci capita di accorgerci delle cose quando si rischia di perderle, anche in Sardegna mentre è emerso questo pericolo ci siamo accorti della importanza che hanno la lingua dei nostri padri, i racconti, la musica, la bellezza del paesaggio, la semplicità delle architetture tradizionali, la ricchezza dei valori comunitari che hanno resistito sino a oggi. Oggi tutti ne parlano nell’ansia di perderli, con la volontà di mantenerli non come il passato ma come una parte della modernità. Qualcuno ha detto che i sardi hanno il vantaggio di vivere a contatto con la preistoria: con testimonianze così antiche come i nuraghi, le domus de janas, le tombe dei giganti. E anche la presenza così importante del mestiere più antico, quello del pastore, l’uomo che passa gran parte del suo tempo da solo in campagna, ha fatto sì che siano arrivati fino ai nostri giorni valori che consideriamo antichi. Il pastore che ha fatto sì che si sedimentasse un atteggiamento filosofico naturale che ancora oggi riconosciamo quando cogliamo la differenza tra i nostri vecchi e l’invecchiare di oggi. Questi elementi hanno fatto sì che alle soglie della modernità, o alla modernità, forse ci arriviamo coi valori quali la famiglia, la comunità, l’amicizia, il rispetto, la festa, la tavola. E la scommessa è cercare di portare nella modernità una parte di questo atteggiamento per molti versi ancora arcaico.

Due mosse della sua presidenza hanno avuto un forte impatto nazionale: la battaglia della Maddalena, per un futuro non militare dell’isola, e la salvaguardia delle coste contro i mille abusivismi. C’è un filo sotterraneo che congiunge i due interventi? È possibile parlare di “bellezza”, di “paesaggio” e di “coste” senza limitare l’intervento della politica al solo ambito turistico?
Avevamo detto che c’erano innanzitutto delle questioni di dignità che andavano poste e che le servitù militari erano un problema di sviluppo economico, ma erano anche un problema di dignità. E non è dignitoso che in Sardegna si sparino circa l’80% di tutte le bombe che vengono esplose in Italia in tempo di pace. È una questione di equilibrio, è una questione di giustizia, è una questione di dignità, pretendere che anche la nostra terra sia rispettata e venga utilizzata anche agli scopi militari in maniera equilibrata rispetto alle altre terre, le altre regioni d’Italia. Questo punto credo che sia stato messo in maniera decisa da noi e credo che dei passi avanti siano stati fatti, e credo che dei passi avanti altrettanto più importanti verranno fatti nei mesi futuri. Poi noi siamo partiti dalla considerazione che per colmare il ritardo di sviluppo della Sardegna abbiamo bisogno di tutte le nostre risorse a disposizione. Tra le risorse a disposizione, che dovrebbero essere a disposizione della nostra regione, per lo sviluppo, c’è Capo Teulada, c’è l’arcipelago della Maddalena. Alla Maddalena ci sono 180 lavoratori che lavorano, da civili, presso la base americana, ma ci sono oltre 2000 disoccupati, a cui evidentemente l’attività militare non è stata in grado di garantire un lavoro. Io credo che la restituzione agli usi civili di questi tratti importantissimi di territorio, dalla Maddalena fino a Capo Teulada, sarà capace di garantire un lavoro a un numero molto maggiore di maddalenini e di sardi, e anche questa quindi è un’attività che la Regione fa per la crescita del lavoro. E sono entrambe zone bellissime della Sardegna, che l’ultima cosa che verrebbe in mente poer loro è quella di tenerle vincolate per gli usi militari. Servono allo sviluppo di quei territori e di quelle comunità, innanzitutto, e poi è un fatto di giustizia. Avevamo detto che attorno all’ambiente si può creare lavoro. Nell’uso sapiente dell’ambiente, non nel suo consumo. E il lavoro duraturo non è quello dell’edilizia, che ogni giorno consuma una fetta nuova d’ambiente, che non è paga magari di aver costruito 400.000 seconde case nelle coste della Sardegna, e ne vorrebbe costruire altre 300.000 o altre 400.000, in una specie di cantiere che non finisce mai, che però porta pochissima ricchezza alla nostra regione. Abbiamo capito, anche in materia d’entrate, che non porta quasi nessuna ricchezza fiscale. Non lascia lavoro stabile, perché appena si finisce una casa bisogna costruirne un’altra e prima o poi bisognerà smettere di costruirne. Si costruiscono cubature che non portano lavoro durante tutti i mesi dell’anno. Abbiamo fatto una legge per cercare di riqualificare queste coste, queste cubature, trasformare seconde case in industria turistica-alberghiera. E stiamo facendo tutto quello che si può fare per la riqualificazione e per il riuso di cubature esistenti, che erano sciupate e inutilizzate da tanti anni. Credo dopo vent’anni di inattività, è stato fatto il bando per il riuso dei siti minerari dismessi: di Masua, di Ingurtosu e di Piscinas. Allo stesso modo, non è ancora uscito il bando, ma stiamo lavorando e nei prossimi mesi uscirà il bando per Monteponi. Allo stesso modo si sta lavorando per riutilizzare il sito di Campo Pisano, vicino a Iglesias. Si sta ricreando lavoro, laddove il lavoro c’era stato, era stato dismesso da decenni e per decenni non si era riusciti a far nulla.

Fare il “governatore”, anche in una regione a statuto speciale, vuol dire scontrarsi con il peso delle burocrazie. Come risponde alle accuse di “decisionismo”?
Il peso delle burocrazie deve essere indubbiamente limitato all’indispensabile e la pubblica amministrazione deve essere più snella, più leggera, in modo che sia il più possibile efficiente, chiara e trasparente per chi vi si rivolge. E in maniera che costi il meno possibile al sistema sociale. Questa è la nostra battaglia, nota a tutti dall’inizio. Una prima cosa di cui ci siamo occupati è la semplificazione della amministrazione regionale. È inoltre in fase di ultimazione il processo di cancellazione di 18 Comunità montane e la cancellazione di 12 Consorzi industriali. In agricoltura ci sono nove enti: stanno diventando due agenzie. E potrei continuare. Insomma, la Giunta regionale ha fatto la sua parte. Abbiamo fatto i disegni di legge necessari di riforma, alcune leggi abbiamo iniziato finalmente ad approvarle, molte di queste attività di moralizzazione, di miglioramento della pubblica amministrazione stanno andando in porto. E i partiti, devo dire con lungimiranza e generosità, stanno assecondando, per quanto possibile, questo processo. Detto questo, vorrei anche aggiungere che io non ho mai fatto un distinguo tra il personale della pubblica amministrazione e la politica, e i politici. I cittadini, per primi, non distinguono quando dicono: “La Regione funziona male”. Non pensano che c’è un presidente bravo e un’amministrazione cattiva, o viceversa. Siamo nella stessa barca, questa è la verità: siamo uguali, siamo lo stesso corpo agli occhi dei cittadini, e a ragione. E allora, portare avanti un cambiamento, dal mio punto di vista, dal punto di vista della Giunta regionale, significa riuscire a fare un percorso comune di cambiamento, e provare a essere migliori. Migliori noi politici nella capacità di ascolto e di guida, nella capacità anche di stimolo, e migliore il personale nella capacità di essere esecutore delle politiche della pubblica amministrazione e nella capacità anche di incoraggiarla, qualche volta, a una politica migliore. Quindi un percorso assieme, perché questa “storia” la si vince o la si perde assieme: non ci può essere buona politica senza buona amministrazione e non ci può essere una buona amministrazione senza buona politica. Quanto al “decisionismo”... Da un lato è vero che in politica devi decidere: ad un certo punto è necessario fare sintesi e decidere. Però è una decisione che deve essere necessariamente una decisione per tutti: deve ascoltare e tener conto di tutti. Quindi è una decisione totalmente diversa da quella dell’imprenditore. La decisione dell’imprenditore di per sé è immediata, sapendo che i risultati, nel bene e nel male, saranno per sé o per la sua azienda. La decisione del politico, ha lo stesso nome, è sempre una “decisione”, ma una decisione opposta, direi, di segno opposto: è per gli altri e, nel bene e nel male, rappresenta le ragioni degli altri, non le ragioni tue. Questa è quella che si chiama democrazia. Una democrazia matura non si confronta muro contro muro. Non c’è uno che vince e uno che perde, il quale si aspetta poi che venga ribaltato un risultato elettorale per sostituirsi. Una democrazia matura ha qualcuno che detiene la responsabilità del governo, questo sì. Ha qualcuno che ha maggiormente la responsabilità del risultato di un’assemblea, ma chiama in ogni caso, sempre, tutte e due le parti, a collaborare al risultato complessivo dell’assemblea. Una democrazia matura non può essere separazione, non può essere solo “una parte”, ma è necessariamente la possibilità di prendere il meglio del tutto. Questo è quello che questa Giunta regionale intende fare e portare avanti.

Per un anno, tra la metà del 2005 e la metà del 2006, i governatori di centrosinistra sono stati forse il più importante argine istituzionale al berlusconismo senescente. Con il governo dell’Unione si apre una nuova fase?
Io credo che questo Governo si comporterà in maniera leale, avrà la capacità di ascolto e, per quanto ci riguarda, comprenderà che la questione sarda merita attenzione. E quindi abbiamo un’occasione molto importante per portare a casa dei risultati che sono stati attesi per tanti anni. Ma vorrei dire anche questa cosa: la politica divide, e l’Italia in questo momento è estremamente divisa, purtroppo. E anche, direi, colpevolmente divisa. E a volte stacchiamo anche la riflessione, o riflettiamo poco, e vediamo solo “destra” e “sinistra”. È chiaro che ci sono differenze, è chiaro che le idee di un governo di centro-sinistra sono diverse da un governo di centro-destra, in tanti casi. Ma ci sono un sacco di altri casi in cui sono le stesse idee. E quindi si può lavorare insieme, e si può riflettere, e si può guardare a tutto quello che ci unisce invece che a quello che ci divide. E si può anche evitare di farci del male da soli: specialmente quando i sardi che pensano di far male al governo di centro-sinistra magari qualche volta stanno facendo male alla Sardegna stessa, più che al governo di centro-sinistra. E viceversa naturalmente. Quindi vale per il Paese, vale per la regione, vale a ogni livello: dobbiamo veramente avere la capacità di guardare al di là di queste cose, sapere che ci sono delle differenze, competere nel momento della competizione elettorale, però poi lavorare assieme. Perché è per tutti: e spero che si riesca a fare di più in futuro.

Come ha vissuto il passaggio da Tiscali alla politica? Tra la richiesta di nuove infrastrutture e quella di “autostrade digitali”, tra vecchia e nuova imprenditoria, vecchia e nuova finanza, qual è il futuro postmoderno della Sardegna?
Dal mio ingresso in politica sono passati due anni, ho avuto modo di parlarne in varie occasioni. Io, intanto, mi sono dimenticato di essere stato imprenditore. Oggi mi sento un cittadino che ha rappresentato il ruolo politico e lo vivo in maniera totale: e mi sento un politico, non più un imprenditore; ragiono da politico e non da imprenditore; e cerco di vivere quest’esperienza politica per le cose di cui sono capace. Naturalmente porto con me un bagaglio di conoscenza e di esperienza che può essere diverso da uno che invece ha fatto il professore universitario di lettere antiche oppure il magistrato, l’avvocato, l’artista o altre cose. Ci sono diverse esperienze che ci può capitare di fare prima di avere il ruolo di responsabilità, il ruolo politico, e nessuna è più o meno importante dell’altra. Fare l’imprenditore non è necessariamente un valore più importante rispetto ad altri per fare politica. Io credo in questa possibilità, nella necessità di fare politica, nel dovere di farla, e che ci sia spazio per tutti. Per quanto riguarda il futuro della Sardegna tra vecchio e nuovo, come dice lei, riassumerei la questione in questo: modernità e maggior equità. Mi capita di dire: innovazione e giustizia sociale. Se potessi attuare qualcosa, riuscire a realizzare qualcosa, effettivamente, in questi anni di governo, mi piacerebbe che fosse esattamente questo: contribuire ad aumentare la capacità e il livello di innovazione di questa regione e aumentare la giustizia sociale. Questi sono i due punti, ai quali aggiungo la bellezza. Abbiamo fatto di tutto per difendere l’industria, la grande industria esistente. Per difendere l’occupazione, per crescere e per dare sollievo a chi oggi ancora un lavoro non ce l’ha. Per sanare delle partite storiche di lavoratori socialmente utili, aziende storicamente in crisi che oggi hanno un nuovo futuro, come la Carbosulcis, i lavoratori dell’ex cartiera di Arbatax. Cosa mi aspetto? Continuare su questa strada, una strada d’innovazione. Questa è una regione che vuole essere innovativa, che punta molto sulla capacità d’innovazione e di crescita della conoscenza e del sapere, quindi continuiamo a puntare sull’innovazione. Mi aspetto molto nel campo della creatività e della bellezza. E quindi maggiore attenzione alla bellezza, alla pulizia, all’ordine, alla cura, all’attenzione che dedichiamo alla nostra Regione, ai nostri uffici, ai nostri paesi, alle nostre architetture, a tutto quanto. Credo che continueremo a lavorare su questi filoni: dell’innovazione, della giustizia e della bellezza. Quello che esiste, in termini di lavoro, di imprese, di diritti, noi lo difendiamo con molta determinazione. La Regione sta giocando un ruolo di attenzione, sta facendo tutto quello che può e lo fa con il massimo impegno e la massima determinazione, affinché tutto il lavoro che il sindacato ha fatto negli anni per il piano per la chimica sia rispettato, affinché tutti gli investimenti promessi sulla chimica siano rispettati, e non ci sia un ulteriore impoverimento della Sardegna. Facciamo questo, però ci diciamo che forse per il futuro e la nuova occupazione dobbiamo puntare sulle piccole e medie imprese che esistono in Sardegna e che devono aumentare nella nostra regione. La Regione ha fatto uscire un bando di 700 milioni di euro che è dedicato proprio a loro. Quindi va oltre le parole e per la prima volta mette in campo delle risorse di dimensioni straordinarie votate proprio a questo: far nascere delle piccole e medie imprese in Sardegna e far crescer le piccole e medie imprese che già esistono. Non ci saranno più partecipazioni statali. È difficile che attrarremo ancora un’impresa che si metta a fare alluminio laddove questo costa di meno 200 km più a sud e il lavoro costa molto meno. Ma sicuramente attrarremo nuova impresa se avremo le infrastrutture informatiche necessarie, quelle che lei ha chiamato “autostrade digitali”. E a questo stiamo lavorando da due anni e ormai siamo anche a buon punto. La prima cosa che è stata fatta: ci siamo dotati di una strategia. Una strategia che parte innanzitutto dalla rete. Per funzionare, l’informatica ha bisogno di una rete di telecomunicazioni. La Sardegna non ne era dotata, tanto meno ne era dotata l’amministrazione regionale. È stata fatta, è stato fatto un bando importante, è in fase di implementazione e completamento in questi mesi, la rete della pubblica amministrazione regionale, al quale potranno partecipare tutti. Sono state fatte delle azioni importanti: ad esempio fare in modo che ci sia l’Adsl nel proprio Comune, e ci sono ancora oggi oltre 200 comuni della Sardegna che non hanno l’Adsl. Ora noi ci aspettiamo che in tempi brevissimi, assolutamente meno di un anno, la nostra regione sia la prima in Italia dove la banda larga sia accessibile per il cento per cento della popolazione, in tutti i comuni della Sardegna, fino al più piccolo, di poche centinaia di abitanti. E poi, fatta la rete per la pubblica amministrazione, resa la rete accessibile a tutti i comuni, tutti i cittadini, tutte le imprese della regione. Il vero motore dell’economia al giorno d’oggi, nel mondo contemporaneo, è la conoscenza, il sapere, il livello di istruzione delle persone.


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