Siza Riflessioni libere e vincolate su lezioni ed architettura

La lezione introduttiva mi è sembrata da subito molto, troppo forte.

Appurato che non di lezione sugli aspetti Tipologici e morfologici si tratta, non almeno attinenti l’ambito architettonico in senso stretto, ma di crisi del ruolo, del lavoro, della dimensione dell’architetto. Non dell’Architettura, mi è sembrato di capire, ma dell’architetto.

E’ interessante esordire ad un corso di laurea con l’affermazione di uno stato di crisi dell’architetto. Interessante perché almeno si evita di illudere su un ruolo che potrebbe sembrare di artefice e creatore massimo dell’esistente (ancor più se parliamo a pianificatori territoriali!) e che invece è in crisi e non ci si smuove.

Allora cosa fa il nostro professore: per anni non si affaccia alla vita accademica, al mondo dell’università perché non crede nel sistema (e non ci dice che cosa ha fatto nel frattempo per poter maturare la sua convinzione dello stato di crisi dell’architetto in modo tale da farsi capire dai suoi studenti), e da qualche anno si avvicina all’università e crede che l’unico modo per uscir fuori da uno stato di crisi sia parlarne in un contesto universitario.

E’ un peccato che abbia maturato questa idea soltanto adesso, certo è che ciascuno ha i suoi percorsi nella vita ma a noi studenti avrebbe fatto piacere sapere quale percorso lavorativo o personale lo abbia condotto lontano dalle sedi accademiche. Ci avrebbe fatto oltremodo piacere sapere quale è stata la scintilla che gli ha fatto cambiare idea. (Ma forse dipende dal fatto che siamo solo alla prima lezione!).

Mi spiego. Per riuscire a capire il motivo che è alla base della sua insoddisfazione, della sua illusione e delusione devo conoscere i percorsi, non è sufficiente che mi si racconti il risultato finale. Francamente mortificata per questo esordio che, per quanto vorrebbe essere innovativo nella metodologia, ci sta facendo il dibattito storiografico senza averci raccontato la storia, dando per scontato che la storia noi la conosciamo gia'.

Ci viene richiesta anche la critica: a che cosa?

Non solo. Vorrebbe coinvolgerci e far sviluppare in noi un senso critico. Il senso critico si sviluppa su un argomento comune, non sulla sua rappresentazione del mondo.

Mi sembra egli non saper approfittare dei suoi interlocutori. Una intera aula di circa sessanta persone tra i 20 e i 35 anni, il presente e il futuro del mondo, piene di entusiasmo, di passione, di intraprendenza. Sessanta persone che in questa sede, all’università vengono per carpire da persone più esperte come si fanno alcune cose, che vogliono sentirsi raccontare la vita e invece si ritrovano ad una lezione di morte, di disastro e di fine del ruolo dell’architetto.

La parola disastro è frequente sulle sue labbra.

Il disastro sul nostro entusiasmo, il disastro sulla nostra voglia di apprendere, il disastro nel seguirlo in aula mentre parla di cose che ancora non ci interessano e che affronteremo e ciascuno a suo modo tenterà di risolvere.

Da noia sentirsi dire disastro, disastro disastro….

Sì, molta.

Il linguaggio dice molto. Chissà se la prossima lezione, visto che non sarà quella introduttiva, riuscirà ad essere più propositiva e pertanto più interessante.

Che fare? Che cosa mi manca? (Questa e' stata una domanda interessante postaci dal professore)

Una casa e un territorio in cui vivere bene.

La prima la ottengo se la fortuna mi accompagna, se lavoro e se guadagno abbastanza per potermela permettere.

Il secondo me lo lavoro, me lo curo, lo amo.

L’architettura è un’arte condivisa.

E chi lo ha mai messo in dubbio?
Forse gli architetti che si son rinchiusi negli studi a progettare per se stessi, convinti di farlo per gli altri.
Forse gli architetti che solo ora si accorgono che per uscire dalla crisi bisogna parlarne.
Chissà quando arriveranno questi illustrissimi architetti a capire che non solo l’architettura è un’arte condivisa ma deve essere condivisa e, quanto meno condivisa è, tanto più sarà lo iato tra la produzione dell’architetto e il territorio con la gente che lo vive.

Quanto impeto nella voglia di fare architettura e che rabbia se qualcuno ti presenta le difficoltà!

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